14 novembre 2006

Acronimi in viaggio

FS: chi ha inventato l’acronimo ha capito tutto.

Sta per “Fottiti Stronzo”, e io ne ho le prove.

Stamattina esco di casa prestino per andare in stazione. Riuscire ad acchiappare in offerta gli ultimi biglietti per Vienna sta diventando un’impresa non da poco. Andare a Vienna è un problema. Tornare anche. Ma com’è possibile che stiate lavorando per noi? Al massimo per la colomba, che uno spazio sopra il tettuccio del vagone forse lo trova a fine dicembre.
Ma fosse solo per questo, potrei lasciar passare: è già tardino per prenotare…

Non è solo il posto che ti ride in faccia dicendoti “sei arrivato troppo tardi e quasi quasi ti faccio pagare il biglietto intero”. C’è anche chi, dietro gli sportelli non ha voglia di pigiare sui tasti per controllare la disponibilità. E così dall’omino semicalvo e panciuto dietro il vetro ieri mi sono sentita dire che

“Non ci sono biglietti in offerta per Vienna, solo a prezzo intero”.
Fottiti Stronzo, hai toppato.
E quando gli ho chiesto se per il ritorno c’era qualcosa, questo mi ha risposto non guardando nemmeno nel computer
“no, quei treni sono già tutti prenotati. Tariffa piena anche per il ritorno, se trovate posto”. Fottiti Stronzo, hai toppato per la seconda volta.

Ma questo accadeva ieri mattina. Oggi lo scenario è stato più variegato.

Ah, santa umanità che lavori per i treni. Pregate tutti per lei, vah! Ne ha davvero bisogno!

Dunque, arrivo allo sportello informazioni per evitare di formare code chilometriche dove fanno i biglietti. E chi mi trovo di fronte? Una che di nerd ha solo gli occhiali spessi come il fondo di una bottiglia. Ma dico, hai davanti un pc con il collegamento al sito di Trenitalia e non sai nemmeno come si naviga? E mettono proprio te a cercare di risolvere i problemi dei clienti con le coincidenze? Te, che la rete ferroviaria la conosci come quella virtuale?

Non ci siamo proprio! Insomma, 20 minuti di clic guidati (dalla sottoscritta) e di pagine (scadute perché la tipa sbagliava a cliccare) dopo, mi ritrovo a sapere esattamente quanto prima.
In saccoccia però ho raccattato mezzo kg di rabbia montata in cambio di mezzo kg di pazienza informatica.

Mi metto diligentemente in coda agli sportelli per fare i biglietti dove la forza divina mi incanala verso una donna capace. Grazie, grazie, grazie. E come Ceccherini posso scrivere “Dio è stato qui”. In stazione, intendo.
Mi prenota i biglietti per il ritorno con tariffa Smart Price. E io ripenso all’omino semicalvo e panciuto… “Fottiti Stronzo”. Ma per l’andata sembra non esserci via di fuga: biglietto intero. A meno che… A meno che, che cosa? Parla, parla, pendo dalle tue labbra.

“A meno che non ti faccia la Cartaviaggio, completamente gratuita e utilizzabile fin da subito”.
Prendo le schede da compilare, informo la mia compagna di viaggio, riempio gli spazi minuscoli di minuscole lettere in maiuscolo e torno il pomeriggio.

E qui comincia il Fottiti Stronzo più grande di tutti.
Mi accoglie un giovin signore dall’aria già antipatica. Quando apre bocca, l’aria è diventata un tornado. È un ciclone di antipatia e, come tale s’infuria.
Aplombe, respiro, un due tre prova.

“Mi scusi vorrei prenotare due posti per il notturno Mestre-Vienna del 28 dicembre, seconda classe. Stamattina mi è stato detto che ci sono posti liberi per l’offerta Card price…”.
Non mi lascia finire la frase “Hai più o meno di 26 anni?”
“Più”
“Allora niente”
“Come niente, mi scusi, ma stamattina una sua collega mi ha detto che…”
“Se hai più di 26 anni non posso farti nessuno sconto e la Cartaviaggio non vale niente”
“Ma ci sono diversi tipi di Cartaviaggio, quella che volevo fare io non ha niente a che vedere con l’età”
“Guardi, per i treni internazionali non c’è nessuno sconto, quella carta non vale nulla”
“Mi scusi, ma on line c’è scritto che…”.
Bloccata di nuovo: “Non so se mi ha capito, ma se le ho chiesto l’età fin dall’inizio c’è un motivo, no?”.
Faccia mia non muovere un muscolo, non parlare con le sopracciglia o con gli occhi o con i muscoli delle guance.
Aplombe, respiro, un due tre, riprovo: “Allora questa carta (e qui mostro il depliant cartaceo) non vale per gli internazionali?”
“Non si fida di me?”
“No, non è che non mi fido di lei, solo che visto che una sua collega e l’on line mi dicono l’esatto opposto di quello che lei mi sta dicendo volevo essere sicura di avere capito bene”
“Evidentemente ha sbagliato a capire” (pure stupida sono, tra le altre cose. Bene bene). “Ok, allora…”
“Guardi le chiamo un superiore così parla con lui”… veramente io non volevo arrivare a tanto. Ho cercato di mantenere la comunicazione su toni civili, che sono stati brutalmente assassinati dalla spirale di vocalizzi sempre più alta del mio interlocutore.
“Guardi, se me lo dice lei, mi fido, non serve che…”
“No, lei non si fida, adesso le chiamo un mio superiore così se le diciamo in due certe cose almeno si potrà convincere che ha sbagliato lei”. Aiuto, ma che succede? Dopo un tot di clienti rompiscatole, uno deve espiare per tutti? Che devo fare? Malaussène vieni in mio aiuto… Magari abbraccio il tipo e mi inginocchio ai suoi piedi per tergergli le scarpe con le mie lacrime? Così mi faccio pure una figura biblica.

E così aspetto un 5 minuti, fino a che il tizio non si sgola a chiamare la collega superiore.
La quale mi s’avvicina, ascolta la mia gentile richiesta, prende un quaderno ad anelli, lo sfoglia ed esordisce “Certo che puoi prenotare il treno con la Cartaviaggio, basta che siano ancora disponibili i posti in offerta”.

Alzo lo sguardo al giovin signore e nella mia testa riecheggia un
FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO


Forse me l’avrà letto attraverso le pupille degli occhi, se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Si scusa in continuazione nei seguenti 10 minuti che ci impiega a prenotarmi due posti e a stamparmi i biglietti. Ma non è neanche che si scusi, perché ogni tanto lancia le sue chicche
“Io non sono mica sicuro, sa?”
Fottiti Stronzo, fammi questi biglietti che me ne vo’.
“Perché, sa, mi scusi, per fortuna l’ho fatta parlare con un mio superiore e non l’ho mandata via”
Fottiti Stronzo, tu mi volevi far parlare con un superiore per farmi fare una figura di merda colossale.
E tra un interiezione e l’altra io zitta, e lui sempre più incazzoso e sbuffante.
Ti rode ah? Fottiti stronzo.
E cosa c’è di peggio, per uno così, che sentirsi compatito? E io ho tanto buon cuore, purtroppo per lui… “Non si preoccupi, ho visto che avete tante offerte, mica potete ricordarvele tutte”
Mi fulmina “No, non è questo. Ho sbagliato, ma non sono mica convinto di questa cosa qua”
Mi stampa un biglietto e poi comincia a fare casino con il computer. Deve ricorrere alla collega per prenotarmi il secondo. Mi porge i due biglietti e mi chiede ancora scusa.
Infilo il coltello nella ferita, più a fondo “Non si preoccupi” e ancora un po’ di più “non deve scusarsi di niente”. L’avessi insultato ne sarebbe stato più felice. Almeno poteva rispondere nell’unico modo in cui è capace: da bestia.

Esco dalla stazione con un bastimento carico di…. carico di… carico di… Chi lo indovina?*

Spero solo che il "Fottiti Stronzo" non sia bidirezionale.
I biglietti andata e ritorno in stile Vern Tessio non sono bene accetti come regalo di Natale.



* Soluzione del giochino: il bastimento è carico di… “Fottiti Stronzo”.

10 novembre 2006

Mailing... goodbyes

Pomeriggio.
Computer acceso.
Mi connetto.
Digito l’Url. Immetto username e password per ben due volte.
Posta in arrivo (1) :)))

Le coincidenze mi commuovono sempre. Soprattutto se rientrano nella categoria “è da qualche giorno che ti penso e tu mi scrivi”.
Era da settembre che non sentivo J.
Mi manca un sacco.
Mi mancano le chiacchierate anche se non ci vedevamo spesso.
Mi manca il suo essere così in gamba.
Mi manca il suo accento scozzese.
Ed eccola con una mail, un “keep in touch”.

L’ultima volta che ci siamo viste era per il trasloco prima di lasciare definitivamente la città: sembrava di essere a una specie di mercatino. Il suo appartamento si era trasformato in una specie di angolo dei ricordi da cui portare a casa qualcosa che negli scatoloni per il Messico non ci sarebbe stata. Era anche portarsi un piccolo pezzettino di lei, una maglietta, un libro in inglese, un ultimo bicchiere di vino assieme.
La volta prima era stata una serata strana, di parole e qualche confidenza, di un aperitivo e qualche birra sedute fuori al bar Stella in una serata di caldo tropicale. Era un parlare dei propri sogni e di un po’ di paura per un futuro incerto.

In questi mesi sono tante le persone che se ne sono andate. Troppe quelle che mi fanno ancora venire le lacrime agli occhi quando ci penso. Lasci la tua città e ti ricrei una vita che dura cinque, sei anni. Poi ti ritrovi punto e a capo perché ognuno prende la sua direzione. Ed è vero che rimani in contatto, che ci sono quegli amici che non senti per mesi ma poi quando li rivedi è come se fosse passata una sola giornata. Solo che a volte, pur sapendolo, non ti basta. Ci sono momenti in cui vorresti averli vicino fisicamente. Prendere il telefono e dire “Sai cosa mi è successo?” o più semplicemente “Aperitivo?”. Ma se tra voi c’è il mare o un oceano o un sacco di km, ecco, questo non si può più fare.

E poi ti ritrovi ad aprire la tua casella di posta e a commuoverti per una mail in inglese, che ti ricorda un’amicizia nata per caso al lavoro e che credi durerà per sempre. Un’amicizia in cui tu sei semplicemente tu. E vai bene così.
Un’amicizia che ti aiuta a vedere prospettive diverse e che ti fa credere che puoi migliorare. E viaggiare. E continuare a crescere ancora.

08 novembre 2006

30 ottobre 2006

Da una Serata di chiacchiere

Il nostro più grande errore è quello di credere che il mondo ci capisca, così come noi proviamo a capire lui. Con la stessa intensità, con lo stesso impegno, con la stessa umanità.

Ed è così difficile trovare qualcuno così vicino all’assenza di giudizio che talvolta ci sentiamo sbagliati e diversi. Ma forse siamo solo un po’ più originali o un po’ più confusi o un po’ più stanchi e frustrati. E non riusciamo a vedere questo “un po’” perché gli altri con le loro etichette ci preparano una gabbia.

Quelli che riescono a non aggiungere una sbarra e, invece di guardarci con lo sguardo di chi crede di essere normale e giusto, aprono la porta della gabbia per sedersi accanto a noi, sono pochi.

A questi pochi, grazie.

18 ottobre 2006

Pennellate di lungomare

Non sono nata in una città di mare, ma a lui appartiene una parte di me.

E al mare mi sono rivolta l'altra sera, come milioni di altre sere da quando mi trovo qui.

Camminavo su quel pezzo di lungomare che, a vederlo, fa sorridere uno che al mare vero – quelloconlasabbiaeimoli- c’è abituato. Camminavo lì, a due metri dallo stradone trafficato e, improvvisamente…

Ogni piastrella, un ricordo…
Il porticciolo, una nuotata di notte…
Uno scoglio, una serata di chiacchiere e vino avvolti negli asciugamani…
La spiaggetta di sassi, un pomeriggio estivo di sole…
I lampioni, le mete di una corsa dopo lo studio…

Piede destro, piede sinistro. E poi ancora piede destro e un’altra volta sinistro. Ad ogni nuovo passo si scriveva una frase nella mia testa, ogni parola si collegava miracolosamente con la seguente senza stridere, e tutto quello che vedevo si trasformava in una sorta di poesia. Le note che il lettore cd mi sparava nelle orecchie sembravano seguire qualche strano magnetismo dell’etere, perché si accordavano perfettamente a quello che vedevo, che sentivo, che pensavo. Colonne sonore, azzeccate come quelle che partono nei film…

In questa città, dove i palazzi un po’ grigi a volte mi tolgono il respiro, il mare riesce sempre a regalarmi una pennellata di libertà. E, a volte, mi piacerebbe dipingerlo con la sua stessa anima, con quell’azzurro che riesce a cullarmi dentro senza toccarmi. Perché lui è vivo e respira.
I quadri di Plasson sono come le tele che il mare dipinge nei miei pensieri, dipinti con la sua essenza più vera e ciononostante ostinatamente bianchi. Non vuoti, solo bianchi. E il bianco è l’unione di tutti i colori, un unione che nasconde ciò di cui si compone. Superficie e profondità.

27 settembre 2006

Se una notte d'autunno un calendario...

Giorni difficili.
Giorni pieni di domande.
Giorni in cui ti sembra di non avere futuro.
Giorni in cui scopri che la vita non è democratica.
Giorni in cui la testa ti si riempie di pensieri.
Giorni in cui vorresti non essere tu.
Giorni di sole, ma solo fuori di te.
Giorni che dire “di merda” ancora non rende l’idea.
Giorni di perdite e vuoti lasciati da chi non tornerà. O tornerà, ma solo e ancora una volta per passare.
Giorni in cui anche ricordare la chiave di casa sembra uno sforzo cognitivo immenso.
Giorni che la musica che ti spari nelle orecchie riesce solo a farti piangere.
Giorni di sogni ad occhi aperti spezzati. E di sogni di notte che dicono solo bugie.
Giorni in cui non sai se quello che hai dimostrato è arrivato come un messaggio giusto. E ti chiedi se valeva la pena esternarlo.
Giorni in cui vorresti essere un leone per sbranare questa vita e, per una volta, ottenere quello che desideri.
Giorni in cui non ti puoi guardare allo specchio perché i tuoi occhi riflettono quello che hai dentro.
Giorni di solitudine che non vorresti vivere più, ma che temi saranno sempre parte di te.
Giorni in cui avvolgi di luce gli altri, ma tu ti siedi sotto la tavola, al buio, con le gambe al petto. E aspetti che la mano di qualcuno ti venga a tirare fuori.
Giorni di decisioni difficili ma necessarie.
Giorni in cui hai paura di aver vissuto troppo tempo sola con te stessa.
Giorni che, anche se t’impegni, non riesci a cacciare via.
Giorni in cui ti chiedi se, in te, c’è qualcosa di normale.
Giorni in cui vorresti qualcuno vicino. Solo e semplicemente vicino. Alla tua anima.
Giorni in cui un abbraccio può farti sciogliere.
Giorni in cui vorresti che qualcuno ti prendesse per mano e ti guidasse al traguardo, perché tu non riesci nemmeno a vederlo.
Giorni in cui vorresti solo lasciarti andare.
Giorni in cui le parole non hanno più senso. E senti di non avere un senso nemmeno tu.
Giorni che speri passino.
Giorni che speri finiscano in un miracolo. Per salvare quello che di te ancora rimane, prima che tu lo distrugga da sola.

07 agosto 2006

Casinò

Mi chiedo se riuscirò mai a pensare che le cose possano andare bene. E a spingerle nella giusta direzione. Invece di fermarmi a pensare a quale catastrofe mi aspetta dietro l’angolo ad ogni nuova scelta che faccio.

Mi chiedo anche se riuscirò a trasformare le mie paure in scommesse da vincere sorridendo. O da perdere, sapendo che almeno il mio tempo non è stato inutile. Il rischio corso mi ha solo aperto una porta vicina di cui ignoravo l’esistenza.

Mi chiedo se saprò superarmi. Se ogni volta che vedrò una montagna davanti riuscirò a raccogliere il mio coraggio e trasformarla in un cumulo di sassi, senza continuare a cozzarle contro e venire respinta.

Le nostre scelte sono come quelle di chiunque altro: scommesse con il futuro. Puoi vincere o puoi perdere, ma alla fine la sfida è solo con te stesso. E ci porta sempre da qualche parte. La vittoria può non essere sempre la strada migliore.

“Giochi, vinci. Giochi, perdi. Giochi” (Jeanette Winterson, Passione)

E non puoi far altro per sentirti vivo.
E adesso non voglio far altro che sentirmi viva. Aspettando che esca il 15. Rosso.

03 agosto 2006

Epifanie estive


Dunque, sono:
a. un’anarchica,
b. con un’età mentale di 5 anni,
c. capace di bassezze,
d. furba,
e. fredda,
f. proveniente dal nord Italia.

Quasi quasi il mio ego si sente lusingato. Nessuno aveva mai usato tanti aggettivi per descrivermi.
E pensare che sono bastati 10 minuti di insulti da parte della mia coinquilina “Antichità”.

Ho ancora un sorriso mezzo ebete in faccia. Paresi? O segni di instabilità mentale? In ogni caso ho la strada spianata per il mio futuro. Da killer.

19 luglio 2006

Io vivo con una cretina. Fossile (II)

Credo di aver fatto un errore di valutazione, che necessita di repentina rettifica.
IO VIVO CON UNA CRETINA. Sempre più radicata nelle sue manie, dunque fossile.

Che è infastidita dai barattoli di bagnoschiuma dimenticati su due angoli della vasca. Perché, udite udite, non sa dove posare i suoi… Quando gentilmente le faccio notare che in una vasca da bagno esistono 4 angoli, mi guarda come se dal nulla ne avessi fatti spuntare due nuovi e ha il coraggio di replicare che quei due sono scomodi…
Ma i 4 angoli della vasca non sono uguali?

E per dirmelo viene a bussarmi in camera mentre sto studiando.
Eh, si sa, nella vita ci sono delle priorità.

Credo che da domani la porta della mia camera sarà marcata da una colta citazione degna dell’inferno

“Per me si va nella città dolente
Per me si va nell'eterno dolore
Per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio Alto Fattore
Fecemi la Divina Potestate
La somma sapienza, il primo amore
Dinnanzi a me non fuor cose create
Se non etterne
E io etterna duro.
Lasciate ogni speranza, o voi ch'intrate”.

E non bussate se sparate cagate.

16 luglio 2006

Io vivo con un fossile... (I)

Che mette due asciugamanini nella lavatrice e fa prelavaggio, lavaggio, scarico e centrifuga.

Che quando è in casa (quindi la maggior parte del suo tempo) occupa sempre il bagno per periodi di tempo talmente prolungati che se ti scappa è meglio se esci, ti accucci dietro un muro e liberi il tuo intestino.

Che lavora meno di me e prende più soldi, ma a fine mese ancora non le bastano.

Che pur sapendo questo, riesce a uscire una mattina e sputtanare tipo 240 euro in saldi per regalarsi una serie di vestiti e scarpe che andranno ad ingrossare le fila dei suoi due armadi.

Che pur non dovendo alzarsi la mattina presto riesce ad entrare in bagno proprio quando tu e l’altra tua inquilina dovete lavarvi i denti per andare a lavorare/studiare. E non fa una stracazzo di piega.

Che fa un sacco di storie per pagare 10 euro in più di bolletta perché lei non c’è stata per 20 giorni e non intende pagare i nostri consumi. Anche se sono per la maggior parte costi fissi.

Che non sa parlare senza accusare e offendere.

Che sostiene di non sentire nulla la notte, ma si lamenta con la confinante di camera se respira.

Che non potrebbe mai vivere al Colosseo: troppe porte e finestre aperte. Infatti dorme con 40 gradi ermeticamente chiusa nella sua camera-bunker.

Che se ha qualcosa da dire becca sempre me. O è la sfiga o è il grande privilegio concesso alle anime che andranno in Paradiso nella prossima vita.

Che si lamenta della porta che fa rumore. E della puzza che i nostri cibi che si cucinano gettano sui suoi due asciugamanini stesi. Lei quando frigge però profuma le nostre lenzuola di oliva pura al 100%.

Che beve yogurt per diminuire il colesterolo e mangia integrale e Misura come carboidrati, ma si ciuccia un Cordon Blue fritto nell’olio più o meno ogni sera.

Che ha occupato qualsiasi armadietto disponibile e ha riempito la dispensa con tanto di quel cibo da sfamare un esercito, ma rimane in casa con noi solo i primi giorni della settimana.

Che dice di avere una 42, subito dopo ti mostra un costume taglia 44 e ti dice seria seria: “Li ho presi in saldo, io ho una 44 ma ci sono anche taglie più grandi” (n.d.a. è anche la mia taglia, quella).

E quando ti trova in cucina, ti squadra da capo a piedi e dopo averti detto che sei proprio dimagrita, aggiunge davanti al chilo di pasta che sta cucinando “eh sì, perché vedi anch’io mi sono asciugata qui”, indicando la zona pancia.

La conclusione principale non può che essere la seguente: i fossili (che molto le somigliano sia per la durezza che per l’età biologica) non possono pensare, perché sono minerali e al massimo massimo, anche avessero un neurone ormai sarebbe di pietra. Quindi niuna speranza.

Ma a questo punto la domanda nasce spontanea: che ci fa una così in un appartamento di studenti-lavoratori che hanno un’età mentale un po’ più evoluta del giurassico?

11 luglio 2006

Grazie Azzurri

Ieri ero riuscita a perdermi un’uscita storica della Gazzetta.

Lo so, lo so che dovrei cominciare il post con qualcosa di esaltante tipo “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”, ma l'ho già usato per la mail a un amico tedesco…

Dunque, persa l’uscita dopo aver distrutto i miei nervi (già provati in questo periodo) ai rigori, dopo aver stritolato la mano di chi mi stava vicino dalla tensione, e con i polpacci agonizzanti causa punta di piedi per riuscire a vedere almeno metà campo da gioco sul maxi schermo.
Ma per gli azzurri questo e altro.

Per fortuna il foglio rosa ha deciso di ristamparsi… appena letta la notizia on line sono andata a implorare l’edicolante sotto casa. Finale? Ho il mitico paginone “TUTTO VERO. CAMPIONI DEL MONDO”.

Perché tutto questo sbattimento??? È un giornale alla fine, traguardo storico sì, ma pur sempre un misero insieme di pagine di bassa qualità.
Beh, per me questo “campioni del mondo” significa molto di più. Non festeggio solo per loro, ma per quello che mi hanno dimostrato.
Avevo davvero bisogno di una vittoria simbolica. Adesso.

GRAZIE AZZURRI :)

P.S. Però mi continuo a chiedere perché non hanno fatto anche per lo sputo di Totti un giochino on line come quello per Zidane… (per chi fosse interessato http://www.bastardidentro.it/node/view/18910)

16 giugno 2006

Special K in Lubjana


Ma dov’ero io nel 1996?
E nel 1998?
E nel 2000?

Perchè nessuno mi ha svegliato prima?!?

P.S. Grazie, grazie e grazie ancora S. :)))

You've killed the freshman…

… ora che è cresciuta, lasciatela in pace. Non c’ha proprio voglia di rifarsi 3 anni di auto-analisi per uscire dall’implosione in cui era finita al liceo…

Ora che le vostre parole non bruciano più, la vostra puzza sotto il naso potete tenervela. E vi dico un segreto: arricciare il naso non vi donava affatto. Se vi foste sciacquati col collutorio la bocca per ogni “stronzata” che sparavate, il vostro alito non avrebbe infastidito le vostre narici viziate.
Cinque anni con voi, cinque anni di ragionamenti da demenza incipiente, cinque anni di cattiverie. Mi sono fatta il buco all’orecchio, ma se mi facevo bucare il timpano sarebbe stato meglio: niente più discorsi da snob del c***o che si credono “the best” solo perché abitano in centro e si vestono con le Prada e i soldi del papà.
Ottusi come un triangolo, quelli che creavate tra di voi con i vostri incubi da mille e una botta.

Credevo fosse finita, invece stasera un messaggio a risvegliare la me che si sentiva inadeguata. E che ora è completamente senza parole per voi. Senza vocali a riempire i buchi vuoti dei vostri aperitivi o delle vostre cene. Una rimpatriata? Affluenza già alta, non puoi mancare? Dopo sei anni la mia intenzione è esattamente quella di lasciare una sedia vuota. Quello che rappresenta voi nei miei ricordi. Cancellati dal posto dove sedevate dal nulla che mi avete trasmesso.

P.S. Le dovute eccezioni in questo post non sono contemplate. Ma ci sono e lo sanno senza bisogno di nomi.

04 giugno 2006

Sincerità

Credo di essere innamorata. Ma non so di chi o di cosa.

Credo che una grande amicizia sia a uno stop. Strade diverse.

Credo che senza i miei genitori cadrei. Radici e ali.

Credo che alcune persone preziose mi abbiano trovato. Grazie.

Credo di voler vedere la fine della tesi. Speranza.

Credo di non essere buona come mi dipingono. Rabbia.

Credo che lui ormai sia radicato nella mia mente e nel mio cuore. Manie.

Credo di voler essere creativa. Insicurezza.

Credo nell’anima nera dell’inchiostro e nel candore della carta. Parole che non scrivo.

Credo di essere una delusione. Mia.

Credo nella tristezza. È negli occhi delle persone a cui voglio bene.

Credo nei sorrisi del mio nipotino. Vita.

Credo nella diversità. C’è chi me l’ha fatta apprezzare.

Credo esista un Dio. Miope.

03 giugno 2006

Colpi di… Genio? (II) - monotoni e ripetitivi


PLIN PLON. COMUNICAZIONE IMPORTANTE

Ma la vogliamo smettere???

Per il concept ci vogliono CONCETTI.
C O N C E T T I.


No immagini
No righe
No oggetti
No stili
No formati
No tecnica
No cose UFO

Ma CONCETTI.


E quando cerco di spiegarglielo, per piacere, non mi ripeta esattamente ciò che le dico quando la rivedo 10 minuti dopo in un’altra stanza.

Grazie

PLIN PLON

30 aprile 2006

SI o NO?

Sfortunatamente questo non è un quiz. Non è una di quelle liste rock o lento. Non è il giochino stupido che si faceva alle medie e che contemplava anche il FORSE come risposta. Adesso è più difficile perché alla fine non hai un numero che ti dà la soluzione.

Continuare a dare il 100% alle persone che ti hanno ferito, ma non se ne sono accorte?
SI o NO

Scrivere messaggi a persone che per te contano qualcosa per ricevere risposte lapidarie e incolori?
SI o NO

Illudersi ancora che qualcuno sia veramente come non è?
SI o NO

Buttare nel cestino i ripetuti e inutili tentativi della tesi e darci un taglio definitivo?
SI o NO

Smetterla di metterci così tanto anima e corpo in quello che si fa?
SI o NO

Spegnere il cervello e gettare l’alimentatore?
SI o NO

Accettare di sentire solo parole sconnesse, non vedere più sorrisi e non essere più riconosciuta da una persona a cui si vuole molto bene?
SI o NO

Purtroppo a volte la linea di demarcazione non è proprio così netta… e i Si o NO non bastano a dare una risposta alla vita…

SI o NO?

10 aprile 2006

Colpi di… Genio? (I)

Venerdì mattina. Riunione di staff. Tutti a rapporto. Penna e taccuino. Cervelli bene aperti. Comincia la lezione settimanale del nostro personal genius.

Dunque, Ci illumini, pendiamo tutti dalle Sue labbra.

Colpo di genio numero 1:
“Dobbiamo partire da un concept, scegliere cioè un certo formato, un certo stile. Come per l’ultimo lavoro svolto.”

Dev’essermi sfuggita qualche connessione. Non è che può esplicitare a noi, poveri incapaci, il percorso dei suoi neuroni per arrivare a questa perla di saggezza?

Mi scusi se mi permetto, ma desidererei chiarire un paio di cosette tra noi, eh.

1. Lieta di venire a conoscenza che ogni tanto apprende qualche parola dal vocabolario del settore, La invito caldamente ad accertarsi della corrispondenza tra termine scritto in neretto e definizione. Caso mai sbagliasse riga, sa…

2. Mi spiace terribilmente per il suo ego, ma non può far passare il concept come un’idea sua: devo infatti comunicarle che fu scoperto anni fa. Comunque non si scoraggi, se persevera nel suo comportamento un brevetto riuscirà a portarlo a casa pure lei. È ancora aperta la gara per la cafonaggine.

3. Come elemento partecipe all’ultimo lavoro svolto, volevo solo farLe presente che formato, grafica, stile sono arrivati dopo un’idea di base forte a cui tutti hanno dato il loro contributo e un po’ di sana progettazione. Il concept, per l’appunto.

Un’ultima domanda ancora: un’altra ventina d’anni saranno sufficienti per la Sua prossima rivoluzionaria illuminazione?

29 marzo 2006

Prima Regola: Silenzio

Prima regola del fight club: non si parla del fight club.
Seconda regola del fight club: non si parla del fight club.

Silenzio. Silenzio e basta. Combattete a due, ma silenzio. Senza scarpe e fino a quando lo decidete voi, voi che state combattendo. Ma i vostri occhi neri, i vostri buchi nelle guance, i vostri denti spezzati non devono parlare.

Prima regola del fight club: non si parla del fight club. Anche se tutto di te parla del fight club, dal tuo essere (o sentirti?) troppo completo, alla tua vita minuscola, fatta di panetti di burro da porzione singola e di una stretta poltrona d’aereo per quotidianità.

Ed è nel momento in cui ti liberi di tutto questo che ti senti libero. Perché se perdere ogni speranza è la libertà, allora hai bisogno di spaccare tutto per tirare fuori qualcosa di meglio da te stesso.
E cominci, cominci con la tua fisicità. Il primo passo. Il perdere la faccia, il perderti con gli altri e il perdere con gli altri. Per poter sopportare ancora quello che sei, cosa fai, la tua vita. Hai due anime: conformista e ribelle, conscia e inconscia, civilizzata e primordiale. Solo la seconda partecipa al fight club.

Seconda regola del fight club: non si parla del fight club.

E se un momento è il massimo che puoi aspettarti dalla perfezione perché non cercare di crearla questa perfezione. A tua immagine e somiglianza, dunque imperfetta. Ma la tua perfezione. E nasce così, nasce in questo modo il tuo progetto contro il mondo e contro te stesso.

Prima regola del Progetto Caos: non si fanno domande sul Progetto Caos.
Seconda regola del Progetto Caos: non si fanno domande sul Progetto Caos.

Silenzio. Silenzio e basta. Muovetevi ma in silenzio. Fate ciò che vi viene ordinato dal Comitato Aggressioni ma fatelo in silenzio. Non fatevi arrestare altrimenti siete fuori. Scimmie ammaestrate che non fanno domande. Politicamente scorretti, ma nel loro progetto giusti. Scrivanie che volano da palazzi imbottiti di succo d’arancia e nitroglicerina, palazzi in fiamme che sembrano zucche di Halloween dagli occhi di brace.
E sei tu l’artefice del progetto Caos. Tu la mente, loro le braccia.

Ma la domanda è: lo sanno loro perché stanno facendo tutto questo?
E lo sai tu perché?
Perché il fight club?
Perché il Comitato Aggressioni?
Perché il Progetto Caos?

Allora, lo sai?

Per l’unico momento che puoi ottenere dalla perfezione?
Perché ti senti soffocare?
Perché piangere è facile nel buio soffocante, chiuso dentro qualcun altro quando vedi che tutto quello che riuscirai mai a combinare finirà in spazzatura?
Perché tutto quello di cui potrai mai andare fiero finirà buttato via?
Perché sei perso dentro?

Allora, lo sai?




Scusami, dimenticavo: la prima regola è il silenzio.

20 marzo 2006

Da grande, NON voglio…

Iniziare ad ABBAIARE il lunedì mattina…
… quando tutti hanno le occhiaie da weekend ed è già un miracolo che i tuoi neurotrasmettitori si siano alzati prima delle 11 per collegare le sillabe di “Buongiorno”.
È troppo banale e scontato cominciare la settimana con un ringhio. Forse con un sorriso la curva di pessimismo della sottoscritta potrebbe alzarsi di un punto percentuale. E chi abbaia tutta la settimana potrebbe cominciare a capire lo spreco di corde vocali…

Trasformare le mie passioni in un compito per casa.
Come dire istituzionalizzare ciò che mi piace. Che adoro proprio perché non sottoposto alla logica della maggior parte delle cose che devo fare.

Vendere fumo.
Con tutto il rispetto, ma qui “L’erba di Grace” non centra nulla. Intendo parlare del vuoto pneumatico o del nulla cosmico per convincere qualcuno, delle parole che scorrono come acqua fresca, di tutto ciò che viene detto al posto di tenere la bocca chiusa. Quando all’università i cosiddetti “professionisti” parlavano senza dire nulla, uscivo dalle lezioni chiedendomi “Ma perché la facoltà di parlare a loro e non agli opossum?”.

Avere terra bruciata attorno.
Seleziono. Sì, è vero seleziono le persone con cui voglio stare, che mi fanno stare bene e che mi fanno crescere. Le persone che hanno un pezzetto del mio cuore non sono molte, ma ci sono. Non è poco svegliarmi la mattina e sapere che c’è qualcuno che nelle sabbie mobili del periodo mi tende una mano. Ma non per affossarmi.

Essere litio, ma anfetamina.
Niente pusher e niente psichiatri.
Semplicemente una parafrasi delle parole di Muccino: la persona anfetamina è quella che riesce a farti volare, che tira fuori la parte migliore di te. Quella che credevi non esistesse e per questo eri così scazzato nei confronti della vita e dell’amore.
Proprio volendo, mi accontenterei anche solo di trovarla questa persona anfetamina…

05 marzo 2006

Un po' d'ordine

Ho sempre invidiato Mary Poppins.

Nella sua borsa ci stava di tutto, mentre io nella mia fatico a metterci la Moleskine, la penna, il portafoglio, il cellulare e il libro che sto leggendo. Figurati un attaccapanni o lo sciroppo col cucchiaio!

Ma più di tutto, quello che volevo assolutamente imparare a fare era schioccare le dita e riordinare le mie cianfrusaglie. Quando ero piccola la mia camera non conosceva pietà: quando ci passavo sembrava si fosse abbattuto un ciclone. Il mio secondo nome era Attila… per la verità, in quell’unno un po’ mi ci riconoscevo.
Una volta, per ripicca credo, la mia stanza decise che alcuni vestiti sarebbero stati meglio fuori dalla finestra… mamma fu il braccio dell’operazione “Order Keeping”…

Col tempo ho imparato ad apprezzare l’ordine. Non l’ordine perfetto, quello che non ti ci puoi muovere, che se ti sposti di mezzo mm l’elemento fuori posto sei tu, ma l’ordine personale, quello vissuto, quello in cui sei tu il demiurgo che crea la propria stella danzante dal caos (Nietzsche, perdonami).

L’unico luogo in cui IordineI vorrei fosse una parola in valore assoluto è al lavoro.
Questo non significa mancanza di fogli fuori posto o di quella percentuale di confusione calcolata come costante nelle agenzie. E nemmeno l’eliminazione di brainstorming che fanno cozzare idee e cervelli.
Vuol dire solo che non vorrei ritrovarmi a recitare la preghierina a Sant’Antonio ogni volta che mi viene chiesto di cercare qualcosa, e che non vorrei “mela effare” miliardi di bit parsi su 6 diversi computer per NON trovare la versione definitiva. Sparita chissà dove tra 0, 1 e infinito.

E non si tratta solo di ordine fisico.

Mary Poppins era così fantasticamente “ordinata” nelle idee e nell’organizzazione che se vedeva una giostra di cavalli in un disegno a gesso, beh, diamine, la festa era proprio lì e lei già faceva parte degli invitati. Il suo ordine prevedeva che i pinguini ti portassero da bere, le tartarughe ti trasportassero sul loro guscio e gli animali fossero delle ugole d’oro. Il tutto con impeccabile savoir faire e nei tempi previsti.

Ogni idea ha mille sfaccettature e un suo ordine necessario alla realizzazione.

Non è un ordine universalmente riconosciuto, Mary Poppins esce da ogni schema.
È solo una questione di riuscire ad uscire dalla finestra invece che dalla porta, ascoltare invece che gridare, provare a non cristallizzare la creatività, per una volta.

Ma certi, purtroppo, non avranno mai il dono di prendere un thè sul soffitto al ritmo di una risata. Nemmeno con la fantasia.

25 febbraio 2006

Lacrime invisibili, ma non al cuore

"A volte mi manchi così tanto che ho paura di non farcela"
-Jack Twist-

23 febbraio 2006

Gentilezza, questa sconosciuta

Strano, riesco ancora a meravigliarmi.

Qualche giorno fa, tra tutte le persone che s’accalcavano per prendere il regionale al binario 2, la prima non ne voleva sapere di far scendere il capotreno. Continuava a tentare di salire le scalette e di varcare la porta, senza darle il tempo di aprirsi. La conclusione era sempre la stessa: questa si richiudeva lasciando fuori l’intelligentone di turno. Nonostante l’incoraggiamento da più parti per riparare la porta, che qualche problema effettivamente ce l’aveva, questa cosa non era una sua preoccupazione. Chi se ne frega, no? Quel posto vicino al finestrino DEVE essere MIO!!!

Con il mio trolley mi dirigo verso la stazione. È lunedì e io vorrei fare qualsiasi altra cosa tranne un viaggio di più di tre ore. Mi s’avvicina una venezuelana per chiedermi dove ci sono i treni. Visto che devo fare la stessa strada ci metto meno a dirle di seguirmi che a darle indicazioni (che è poi una cosa che mi riesce malissimo ;)). Cinque minuti, qualche chiacchiera e mezzo Km dopo mi lascia con un “Tu sì che sei una persona gentile. Grazie”. Gentile? Grazie? Ma di che? Non è normale essere così? O forse ci dimentichiamo troppo presto di tutte le volte che abbiamo avuto bisogno noi di una cosa così semplice come un’indicazione? E magari non l’abbiamo avuta…

Acqua & Sapone: una signora non trova 60 centesimi e quindi non riesce a chiudere il conto. Dopo 10 minuti che rovista nel portafoglio e che la cassiera la guarda continuandole a ripetere l’importo mancante, un ragazzo si avvicina e dà 1 euro alla cassiera. Allora esistono gli alieni, mi sono detta. Caduta nell’errore che un paragrafo prima criticavo.

Sono sull’autobus e una massa di studenti si riversa dalla porta centrale. Quella dell’uscita. Investe vecchiette, smalta contro i pali di sostegno chiunque incontri il loro zaino che non può toccare il pavimento. Deve essere un nuovo gioco in cui chi, in autobus, si cala lo zaino per primo perde. Quando andavo alle superiori io non esisteva. Peccato, avevo un’occasione in più per essere gentile… ho sbagliato anno di nascita.

Ancora sull’autobus, entra un’anziana piena di borse. Un giovane si alza per lasciarle il posto. “Eh caro, non sono mica così vecchia” dice un po’ seccata. Ma se lui non si fosse alzato il fumetto che sarebbe uscito dalla sua bocca sarebbe stato “Questi giovani d’oggi”. Dove sta qui la gentilezza?

Mi fermo qui e continuo a meravigliarmi. Non è un punto e basta, solo un punto e a capo.

19 febbraio 2006

Meteoropatia a Milano

Mi esprimo, da perfetta ignorante quale sono al proposito, su una città di grigio gusto.
Ieri per la prima volta ho calcato il suolo milanese, per pochi metri e nelle zone sbagliate, evidentemente.

A dir la verità avevo già visto la Stazione Centrale e la metropolitana di ritorno da un interrail in Spagna e Portogallo. Credevo ci fossero delle differenze tra il sottosuolo e la superficie: mi sbagliavo.

La dea bendata doveva aver deciso di far giocare qualcun altro a moscacieca, o forse qualche villano le aveva sporcato la pezzuola che stava centrifugando nella lavatrice. Fatto sta che in questo viaggio alla ricerca di un aiuto dal cielo, l’unica cosa caduta dall’alto è stata la pioggia.

Un cielo di ghisa alla Brizzi non l’avevo mai visto (sì, lo so, lui parla di Bologna, ma la ghisa è universale no?): grigio, stinto, triste.
Il mio umore lottava contro la copertura dello smog, contro le decadenti facciate in cui l’unico colore è quello della tovaglia che viene sbattuta fuori dalla finestra dopo pranzo, contro muri di cartelloni elettorali in cui Berlusconi sorride felice (a Milano perde un po’ del suo colore anche lui, però).

E all’improvviso il maltempo ha sferrato il suo attacco…
Non era solo la pioggia, l’alzata alle cinque e mezza del mattino (concorrenza sleale alle galline della nonna ;)), i ritardi dei treni o le due misere ore concessemi da chi avrebbe dovuto seguirmi ben di più.
Era la sensazione di essere oppressa da tutto quel NON. Non colore, non sapore, non e basta insomma.

La prossima volta chiederò a Giuliacci le previsioni, così almeno riuscirò a raggiungere il centro e darci un’occhiata senza annegare (questa volta non ci sono nemmeno arrivata…).
Magari se sono fortunata trovo anche Costantino che, “Bello Dentro” lui, ha lo stesso effetto della varechina: cancella anche i colori più tenaci.

15 febbraio 2006

Amicable Valentine

In ritardo di un giorno, ma arrivo. Non ho mica scelto Fastweb, IO.
Scusa Valentino, e tanti auguri ;p

E per tutti gli innamorati che non credono alla magia dei numeri…

“Did you ever hear of amicable numbers?
They’re like perfect numbers, but instead of being the sum of their own divisors, they’re the sum of each other’s divisors.
In the Middle Ages, people used to carve amicable numbers onto pieces of fruit -they’d eat the first piece themselves – and then feed the other one to their lover.
It was a mathematical aphrodisiac.”

(Alex Galt, Mathematical Aphrodisiac in
"True tales of American Life")

… non serve "Cosmopolitan" per ricredersi ;)

12 febbraio 2006

P.P. (che non sta per Proprietà Privata)

E va bene, hanno vinto le “maledette storte”.



Così almeno non dovrò più costringere nessuno a mantenere attivo l’anonimato ;)
Scelta? Beh, le lettere con me non hanno mai perso, semmai il contrario. Sono io che mi sono persa con loro.
Vivo di parole, respiro parole, scrivo parole, penso parole, taccio parole. E quando sono arrabbiata I feel sick di parole.

E allora, eccovi il vostro premio, carissime: il P.P. (Primo Post).