08 marzo 2008

Bilancio della prima settimana di lavoro

Lo definirei con un’unica parola: positivo. Se non fosse che il weekend mi ha inchiodato al bagno come regalo per la festa della donna.

Ebbene, signori e signori, finalmente al lavoro vengo trattata come un essere umano. Ho un ufficio tutto mio sin dal primo giorno, una scrivania immensa e ingombra solo delle mie carte, la chiavetta per la macchinetta del caffè e cancelleria a bizzeffe. Basta solo richiedere ciò di cui si ha bisogno alla persona competente e, bene o male, si può ottenere tutto. Ho già al mio attivo una mail personalizzata con cui comunicare con i colleghi attraverso l’Outlook del mio pc. Incredibile. Ho un pc che, almeno nelle ore in cui sto lì, è solo mio e a cui accedo con il mio ID e la mia password personali. Sono stupefatta.
Davanti a me tre scaffali vuoti aspettano solo di essere riempiti nei prossimi mesi; al momento ospitano solo la bottiglietta di olio, il pepe e il sale con cui condisco le mie insalate. A lato metà parete è occupata da finestre con tendine parasole. L’illuminazione elettrica illumina l’ufficio senza bisogno di stare incollati al foglio per distinguere le lettere.
Infine ho un termosifone che va a mille e che mi tocca spegnere ogni due per quattro. Sembra un’ovvietà, ma non direste così dopo mesi invernali passati in un locale scaldato al risparmio da una bombola.

Insomma, mi sento sempre un po’ stagista ma con una cellula di redattrice in più.

Appena arrivata non hanno perso tempo e mi sono ritrovata a fare il primo giro di bozze a un libro. Non è sicuramente un’opera della loro collana di punta, ma dopo qualche capitolo conforta saperlo. Soprattutto quando gli occhi ti si incrociano, le frasi non hanno più nessun senso e ti accorgi che una parola è stata scritta in due modi diversi più o meno qualche decina di pagine fa. Sì, ma dove? È la sindrome da annegamento nel mare magnum delle correzioni.
Questa settimana, redazione libraria inframmezzata da compiti atti a riprendere la capacità oculare e a restituire le funzioni vitali al corpo in fase digestiva. La prossima settimana mi aspetta un abbozzo anche della parte multimediale.

La pausa pranzo per i ricchi o per quelli che non hanno palle di cucinare avviene in una qualche mensa dei dintorni, uno spazio esterno cui si accede solo con la macchina. Per tutti gli altri avviene in una stanza comune, ognuno con i suoi tempi e secondo i suoi impegni. Si apre e si svuota con una certa famelicità il tupperware portato da casa in cui giacciono le “prelibatezze” cucinate la sera prima. Tavoloni, un lavello con detersivo e scolapiatti, un forno a microonde, un frigo grande e un mobile a parete che contiene tovagliette, bottiglie di acqua e scottex, completano l’arredo della sala. Sono attrezzati anche per questo. Non ci sono parole.

I colleghi, questi sconosciuti! Dopo una settimana so ancora poco di loro: ognuno ha ritmi di lavoro diversi e gli unici veri momenti comuni sono la pausa caffè delle 10 e il pranzo. Mi sembrano comunque tutti molto disponibili e competenti. Quando m’incrociano mi sorridono e mi chiedono sempre come mi trovo. Tra qualche settimana ne riparleremo…

Al momento è tutto (altrimenti il post rischia di diventare chilometrico). Per i prossimi aggiornamenti sulla vita in città e in appartamento, stay tuned.
E ora, LINEA ALLO STUDIO!

27 febbraio 2008

Primo passo: riempire i vuoti

Che non significa riempire i “morti” - come si dice in Veneto - ossia le bottiglie di vino/birra/liquore scolate.

Ieri, mattinata a Trento per portare in appartamento il minimo indispensabile.
La mia nuova singola era un vuoto, che ho deciso di non riempire come l’ultima stanza a Trieste. Sette anni avevano dato i loro frutti: a momenti per tornare mi serviva un furgoncino per i traslochi.
Le mie nuovi chiavi erano un vuoto, con il loro scialbo talloncino di plastica blu agganciato a un cerchio e la mancanza dell’unica chiave davvero utile, quella del portone d’ingresso del condominio.
L’armadio era un vuoto e i cassetti e la scrivania, immensa e di forma strana che ho già immaginato il mio pieno personale.
Il letto era un vuoto, con il materasso e il cuscino di quel grigio-azzurrino che aspettano di essere incappucciati da un velo di colore.
I muri erano un vuoto. Piccole macchioline di scotch a ricordare che qualcuno era già stato lì e li aveva resi vivi con foto e ricordi.
La finestra era un vuoto, riempito con una tenda. Spalancata dava su un vuoto ancora più grande i cui bordi erano maestose montagne. E guardando in basso c’erano tanti pentolini, somiglianti a studenti di Economia, che mangiavano i loro panini nel grande cortile di facoltà.
L’appartamento era un semi-vuoto: 2 inquiline su 4.
Trento era un vuoto perché ancora tutto da scoprire.
Le persone erano un vuoto bianco su cui imparare a scrivere le loro storie.

Crea un certo vuoto avere tanti vuoti da riempire di nuovo. È come ricominciare tutto da capo in un posto nuovo, tra gente nuova, con compiti nuovi. Il tutto senza sapere come andrà.
Allo stesso tempo, però, mi sento una scatola piena: il mio contenuto preme da ogni parte per uscire e andare a riempire i vuoti che ci sono. Perché alla fine riempirli senza rendersene conto sembra una magia e ti accorgi di averla fatta solo dopo che è avvenuta.

21 febbraio 2008

Del mio destino e delle città

Ho fatto l’abbonamento alle città con la Tr. Da Trieste a Trento, passando per casa.
Non sto giocando a Monopoli, infatti non c’è la prigione, ma mi sa che le regole sono le stesse: i giocatori pagano tanto e ricevono poco, rimanendo sempre incerti sul loro futuro. Almeno questa volta sono finita in una casa editrice con tirocinio di 6 mesi, prorogabile.

Sogno di diventare redattrice da quando, a sei anni, ingurgitavo parole su parole nascondendomi dietro il divano di casa mia e saltavo le ricreazioni per imparare a leggere meglio che potevo. Zoe Trope, nel suo Scusate se ho quindici anni scrive “un fascio di fogli mi cresce nello stomaco”: nulla per me è mai stato più vero.
È come essere attratti dal sole e dalla luna, come le maree. L’unica differenza è che al loro posto ci stanno una penna e un refuso da cancellare.

A chi mi chiede quale sarà il mio futuro, rispondo che non lo so. So cosa mi piace fare ma non so se lo diventerò. Ho scoperto che i sogni sono una cosa e la realtà tutta un’altra. A volte combaciano perfettamente, altre devi aspettare tanto tempo per un’occasione, altre ancora non realizzi mai ciò che speri e, se sei fortunato, scopri che il tuo universo dei sogni può essere cambiato senza danni.

Nonostante tutto, io non demordo.

19 febbraio 2008

Fighting for Cernaki

In questo periodo di instabilità che rende muti, borderlime ritrova la favella per una giusta causa, CERNAKI, sicura che il termine entrerà nell’Olimpo dei neologismi 2008 della lingua italiana. Più precisamente, troverà posto tra le voci ‘cerio’ e ‘cernecchio’ dello Zingarelli minore. Almeno per ora.
Un passo alla volta si farà strada e scalerà ben più alte vette, accompagnato dall’amorevole cura di chi l’ha creato, mamma leetah.

Conscia dell’importanza della sua diffusione borderlime, redattrice in erba, cercherà di sfondare i muri editoriali – per inciso, belli spessi – per facilitare l’accesso a pagina 221 della nuova creatura. Borderlime garantisce il risultato solo nel caso in cui la Zanichelli si ritrovi improvvisamente sprovvista di redattori, editor e stagisti allo stesso tempo e decida di volgere i suoi occhi ai mille curricula nella sua casella di posta elettronica.
Confidando nel destino, Borderlime si siede sulla sponda del fiume e aspetta, con il portatile sulle gambe, la connessione wifi e il dito sul tasto ‘Invia’ di Gmail.