14 novembre 2006

Acronimi in viaggio

FS: chi ha inventato l’acronimo ha capito tutto.

Sta per “Fottiti Stronzo”, e io ne ho le prove.

Stamattina esco di casa prestino per andare in stazione. Riuscire ad acchiappare in offerta gli ultimi biglietti per Vienna sta diventando un’impresa non da poco. Andare a Vienna è un problema. Tornare anche. Ma com’è possibile che stiate lavorando per noi? Al massimo per la colomba, che uno spazio sopra il tettuccio del vagone forse lo trova a fine dicembre.
Ma fosse solo per questo, potrei lasciar passare: è già tardino per prenotare…

Non è solo il posto che ti ride in faccia dicendoti “sei arrivato troppo tardi e quasi quasi ti faccio pagare il biglietto intero”. C’è anche chi, dietro gli sportelli non ha voglia di pigiare sui tasti per controllare la disponibilità. E così dall’omino semicalvo e panciuto dietro il vetro ieri mi sono sentita dire che

“Non ci sono biglietti in offerta per Vienna, solo a prezzo intero”.
Fottiti Stronzo, hai toppato.
E quando gli ho chiesto se per il ritorno c’era qualcosa, questo mi ha risposto non guardando nemmeno nel computer
“no, quei treni sono già tutti prenotati. Tariffa piena anche per il ritorno, se trovate posto”. Fottiti Stronzo, hai toppato per la seconda volta.

Ma questo accadeva ieri mattina. Oggi lo scenario è stato più variegato.

Ah, santa umanità che lavori per i treni. Pregate tutti per lei, vah! Ne ha davvero bisogno!

Dunque, arrivo allo sportello informazioni per evitare di formare code chilometriche dove fanno i biglietti. E chi mi trovo di fronte? Una che di nerd ha solo gli occhiali spessi come il fondo di una bottiglia. Ma dico, hai davanti un pc con il collegamento al sito di Trenitalia e non sai nemmeno come si naviga? E mettono proprio te a cercare di risolvere i problemi dei clienti con le coincidenze? Te, che la rete ferroviaria la conosci come quella virtuale?

Non ci siamo proprio! Insomma, 20 minuti di clic guidati (dalla sottoscritta) e di pagine (scadute perché la tipa sbagliava a cliccare) dopo, mi ritrovo a sapere esattamente quanto prima.
In saccoccia però ho raccattato mezzo kg di rabbia montata in cambio di mezzo kg di pazienza informatica.

Mi metto diligentemente in coda agli sportelli per fare i biglietti dove la forza divina mi incanala verso una donna capace. Grazie, grazie, grazie. E come Ceccherini posso scrivere “Dio è stato qui”. In stazione, intendo.
Mi prenota i biglietti per il ritorno con tariffa Smart Price. E io ripenso all’omino semicalvo e panciuto… “Fottiti Stronzo”. Ma per l’andata sembra non esserci via di fuga: biglietto intero. A meno che… A meno che, che cosa? Parla, parla, pendo dalle tue labbra.

“A meno che non ti faccia la Cartaviaggio, completamente gratuita e utilizzabile fin da subito”.
Prendo le schede da compilare, informo la mia compagna di viaggio, riempio gli spazi minuscoli di minuscole lettere in maiuscolo e torno il pomeriggio.

E qui comincia il Fottiti Stronzo più grande di tutti.
Mi accoglie un giovin signore dall’aria già antipatica. Quando apre bocca, l’aria è diventata un tornado. È un ciclone di antipatia e, come tale s’infuria.
Aplombe, respiro, un due tre prova.

“Mi scusi vorrei prenotare due posti per il notturno Mestre-Vienna del 28 dicembre, seconda classe. Stamattina mi è stato detto che ci sono posti liberi per l’offerta Card price…”.
Non mi lascia finire la frase “Hai più o meno di 26 anni?”
“Più”
“Allora niente”
“Come niente, mi scusi, ma stamattina una sua collega mi ha detto che…”
“Se hai più di 26 anni non posso farti nessuno sconto e la Cartaviaggio non vale niente”
“Ma ci sono diversi tipi di Cartaviaggio, quella che volevo fare io non ha niente a che vedere con l’età”
“Guardi, per i treni internazionali non c’è nessuno sconto, quella carta non vale nulla”
“Mi scusi, ma on line c’è scritto che…”.
Bloccata di nuovo: “Non so se mi ha capito, ma se le ho chiesto l’età fin dall’inizio c’è un motivo, no?”.
Faccia mia non muovere un muscolo, non parlare con le sopracciglia o con gli occhi o con i muscoli delle guance.
Aplombe, respiro, un due tre, riprovo: “Allora questa carta (e qui mostro il depliant cartaceo) non vale per gli internazionali?”
“Non si fida di me?”
“No, non è che non mi fido di lei, solo che visto che una sua collega e l’on line mi dicono l’esatto opposto di quello che lei mi sta dicendo volevo essere sicura di avere capito bene”
“Evidentemente ha sbagliato a capire” (pure stupida sono, tra le altre cose. Bene bene). “Ok, allora…”
“Guardi le chiamo un superiore così parla con lui”… veramente io non volevo arrivare a tanto. Ho cercato di mantenere la comunicazione su toni civili, che sono stati brutalmente assassinati dalla spirale di vocalizzi sempre più alta del mio interlocutore.
“Guardi, se me lo dice lei, mi fido, non serve che…”
“No, lei non si fida, adesso le chiamo un mio superiore così se le diciamo in due certe cose almeno si potrà convincere che ha sbagliato lei”. Aiuto, ma che succede? Dopo un tot di clienti rompiscatole, uno deve espiare per tutti? Che devo fare? Malaussène vieni in mio aiuto… Magari abbraccio il tipo e mi inginocchio ai suoi piedi per tergergli le scarpe con le mie lacrime? Così mi faccio pure una figura biblica.

E così aspetto un 5 minuti, fino a che il tizio non si sgola a chiamare la collega superiore.
La quale mi s’avvicina, ascolta la mia gentile richiesta, prende un quaderno ad anelli, lo sfoglia ed esordisce “Certo che puoi prenotare il treno con la Cartaviaggio, basta che siano ancora disponibili i posti in offerta”.

Alzo lo sguardo al giovin signore e nella mia testa riecheggia un
FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO, FOTTITI STRONZO


Forse me l’avrà letto attraverso le pupille degli occhi, se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Si scusa in continuazione nei seguenti 10 minuti che ci impiega a prenotarmi due posti e a stamparmi i biglietti. Ma non è neanche che si scusi, perché ogni tanto lancia le sue chicche
“Io non sono mica sicuro, sa?”
Fottiti Stronzo, fammi questi biglietti che me ne vo’.
“Perché, sa, mi scusi, per fortuna l’ho fatta parlare con un mio superiore e non l’ho mandata via”
Fottiti Stronzo, tu mi volevi far parlare con un superiore per farmi fare una figura di merda colossale.
E tra un interiezione e l’altra io zitta, e lui sempre più incazzoso e sbuffante.
Ti rode ah? Fottiti stronzo.
E cosa c’è di peggio, per uno così, che sentirsi compatito? E io ho tanto buon cuore, purtroppo per lui… “Non si preoccupi, ho visto che avete tante offerte, mica potete ricordarvele tutte”
Mi fulmina “No, non è questo. Ho sbagliato, ma non sono mica convinto di questa cosa qua”
Mi stampa un biglietto e poi comincia a fare casino con il computer. Deve ricorrere alla collega per prenotarmi il secondo. Mi porge i due biglietti e mi chiede ancora scusa.
Infilo il coltello nella ferita, più a fondo “Non si preoccupi” e ancora un po’ di più “non deve scusarsi di niente”. L’avessi insultato ne sarebbe stato più felice. Almeno poteva rispondere nell’unico modo in cui è capace: da bestia.

Esco dalla stazione con un bastimento carico di…. carico di… carico di… Chi lo indovina?*

Spero solo che il "Fottiti Stronzo" non sia bidirezionale.
I biglietti andata e ritorno in stile Vern Tessio non sono bene accetti come regalo di Natale.



* Soluzione del giochino: il bastimento è carico di… “Fottiti Stronzo”.

10 novembre 2006

Mailing... goodbyes

Pomeriggio.
Computer acceso.
Mi connetto.
Digito l’Url. Immetto username e password per ben due volte.
Posta in arrivo (1) :)))

Le coincidenze mi commuovono sempre. Soprattutto se rientrano nella categoria “è da qualche giorno che ti penso e tu mi scrivi”.
Era da settembre che non sentivo J.
Mi manca un sacco.
Mi mancano le chiacchierate anche se non ci vedevamo spesso.
Mi manca il suo essere così in gamba.
Mi manca il suo accento scozzese.
Ed eccola con una mail, un “keep in touch”.

L’ultima volta che ci siamo viste era per il trasloco prima di lasciare definitivamente la città: sembrava di essere a una specie di mercatino. Il suo appartamento si era trasformato in una specie di angolo dei ricordi da cui portare a casa qualcosa che negli scatoloni per il Messico non ci sarebbe stata. Era anche portarsi un piccolo pezzettino di lei, una maglietta, un libro in inglese, un ultimo bicchiere di vino assieme.
La volta prima era stata una serata strana, di parole e qualche confidenza, di un aperitivo e qualche birra sedute fuori al bar Stella in una serata di caldo tropicale. Era un parlare dei propri sogni e di un po’ di paura per un futuro incerto.

In questi mesi sono tante le persone che se ne sono andate. Troppe quelle che mi fanno ancora venire le lacrime agli occhi quando ci penso. Lasci la tua città e ti ricrei una vita che dura cinque, sei anni. Poi ti ritrovi punto e a capo perché ognuno prende la sua direzione. Ed è vero che rimani in contatto, che ci sono quegli amici che non senti per mesi ma poi quando li rivedi è come se fosse passata una sola giornata. Solo che a volte, pur sapendolo, non ti basta. Ci sono momenti in cui vorresti averli vicino fisicamente. Prendere il telefono e dire “Sai cosa mi è successo?” o più semplicemente “Aperitivo?”. Ma se tra voi c’è il mare o un oceano o un sacco di km, ecco, questo non si può più fare.

E poi ti ritrovi ad aprire la tua casella di posta e a commuoverti per una mail in inglese, che ti ricorda un’amicizia nata per caso al lavoro e che credi durerà per sempre. Un’amicizia in cui tu sei semplicemente tu. E vai bene così.
Un’amicizia che ti aiuta a vedere prospettive diverse e che ti fa credere che puoi migliorare. E viaggiare. E continuare a crescere ancora.

08 novembre 2006